15/12/20

Carlo Lorenzini (Collodi) e il suo PINOCCHIO

 BIO BIBLIO grafia dell'autore

Scheda del romanzo



Piero Dorfles,  Indagine su Pinocchio, 2018

Il romanzo di formazione

    Babbino mio, […] se sapeste quante disgrazie mi son piovute sul capo e quante cose mi sono andate a traverso! Figuratevi che il giorno che voi, povero babbino, col vendere la vostra casacca, mi compraste l’Abbecedario per andare a scuola, io scappai a vedere i burattini, e il burattinajo mi voleva mettere sul fuoco perché gli cocessi il montone arrosto, che fu quello poi che mi dètte cinque monete d’oro, perché le portassi a voi, ma io trovai il Gatto e la Volpe che mi condussero all’Osteria del Gambero Rosso, dove mangiarono come lupi, e partito solo di notte incontrai gli assassini che si messero a corrermi dietro; e io via e loro dietro, e io via e loro sempre dietro, e io via, finché mi impiccarono a un ramo della Quercia Grande, dovecché la bella Bambina dai capelli turchini mi mandò a prendere con una carrozzina, e i medici quando m’ebbero visitato, dissero subito: – «Se non è morto, è segno che è sempre vivo» – e allora mi scappò detta una bugia, e il naso cominciò a crescermi e non mi passava più dalla porta di camera, motivo per cui andai con la Volpe e col Gatto a sotterrare le quattro monete d’oro, ché una l’avevo spesa all’Osteria, e il Pappagallo si messe a ridere, e viceversa di duemila monete non trovai più nulla, la quale il Giudice quando seppe che ero stato derubato mi fece subito mettere in prigione per dare una soddisfazione ai ladri.

Il monologo che Pinocchio sciorina davanti all’incanutito Geppetto nel ventre del Pesce-cane è visibilmente diverso da quelli precedenti. È più connesso, più maturo nell’eloquio, più consapevole della concatenazione degli eventi. Dopo una prima parte, concitata ma realistica, restano nessi incongrui come quel «dovecché» che segue l’impiccagione e precede l’arrivo della carrozzina della Fata, e quel «motivo per cui» che dovrebbe rappresentare la giustificazione logica del passaggio dall’allungamento del naso in casa della Fata al sotterramento delle monete d’oro, e invece rappresenta l’ultima sconnessione di questo terzo e definitivo monologo. Dopo, avremo soltanto il breve percorso, in un solo capitolo, del passaggio dalla perdizione alla redenzione che si verifica dopo il transito purificatore nel ventre del Pesce-cane. Ma la conclusione, pur sgrammaticata, con quel «la quale» che non c’entra nulla, è analitica, potente, matura: il giudice l’ha fatto mettere in prigione «per dare una soddisfazione ai ladri». Qui Pinocchio manifesta una capacità di riflessione che finora non gli avevamo conosciuta; il processo di crescita intellettuale che si sta manifestando è figlio di quanto gli è «andato a traverso», e in questo le avventure, o meglio le disavventure, sono i riti di passaggio che Pinocchio deve superare per arrivare alla conclusione logica della fiaba. «Il burattino passa da un orrore all’altro, prende bastonate sempre più pesanti fino a quando cederà le armi. Tutto questo è il prezzo che bisogna pagare per potersi confondere nella società civile. […] Diventerà un bravo ragazzo solo dopo aver scoperto che il mondo è abitato da truffatori e da giudici che mettono in galera gli innocenti citrulli» [Cerami, 2002, p. xxiv].

Nel monologo «L’arruffìo logico-sintattico mima alla perfezione la tumultuosità fanciullesca dei suoi sentimenti» [Spinazzola, 1997, p. 64], ma compone anche un piccolo capolavoro di riassunto per immagini delle vicende appena trascorse, come nota con una bella similitudine Lavagetto: «Il pericolo, la minaccia, l’inganno, il sotterfugio, i fantasmi, le improvvise apparizioni si succedono come se, ad evocarli, fosse una lanterna magica in cui un operatore frenetico inserisse una diapositiva dietro l’altra» [2003, p. 271]. E infatti la commozione di Pinocchio, quando ritrova Geppetto, è tale che «ci mancò un ette che non cadesse in delirio», e «mugolava confusamente e balbettava delle parole tronche e sconclusionate», prima di gettargli le braccia al collo. Una costruzione linguistica che è il segno di una maturazione emotiva di Pinocchio, e infatti in quest’ultimo monologo «torna la paratassi, che serve a connotare la tachicardia del narratore: è segno della sua commozione» [Lavagetto, cit., p. 270].

La perdita dell’innocenza non passa tanto attraverso una maturazione razionale, quanto piuttosto attraverso l’accumularsi dell’esperienza del carattere ingiusto e contraddittorio della società in cui i grilli parlanti lo vogliono a tutti i costi inserire. Fino all’ingestione da parte del Pesce-cane, Pinocchio subisce gli avvenimenti con la sottomissione di chi non si chiede nemmeno il perché delle cose. È stato «inaccessibile all’esperienza» [Manganelli, 1977, p. 85], attento solo alle sue disordinate pulsioni. Il mondo, tra il reale e il magico, che ha dovuto affrontare, l’ha preso così com’è.

«La metamorfosi non è un evento che accade d’improvviso a conclusione del racconto, ma un percorso che precede l’avvio e si sviluppa fin dal principio della narrazione» [Gagliano, 2012,

«Com’ero buffo quand’ero burattino!» Quelle che Pinocchio pronuncia alla conclusione del libro sono «Le prime parole che pronuncia a se stesso» [Cerami, 2002, p. xxvi]. È la prima volta, nel racconto, in cui Pinocchio si osserva con occhio analitico, e nel momento in cui prende coscienza della propria individualità e della separazione definitiva dall’irresponsabilità infantile, ecco che si profila la nascita dell’Io, e del principio di realtà. E con la fine del libro si conclude anche, logicamente, il processo di formazione che ne è la sostanza ultima.


Veronica Bonanni, Pinocchio, eroe di legno. Modelli mitologici, fiabeschi, realistici

Gianfranco Marrone, PARALLELISMI E TRADUZIONE: IL CASO MANGANELLI 1 

Filippo Milani, da "Arabeschi" il pinocchio parallelo                           

Daniela Marcheschi  IN UN VIDEO su Pinocchio e la menzogna: 

https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/05/Daniela-Marcheschi-Pinocchio-08f5db55-413c-4c90-992f-00b000d55486.html

 


 

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