Piero Dorfles, Indagine su Pinocchio, 2018
Il romanzo di formazione
Babbino mio, […] se sapeste quante disgrazie mi son piovute sul
capo e quante cose mi sono andate a traverso! Figuratevi che il giorno che voi,
povero babbino, col vendere la vostra casacca, mi compraste l’Abbecedario per
andare a scuola, io scappai a vedere i burattini, e il burattinajo mi voleva
mettere sul fuoco perché gli cocessi il montone arrosto, che fu quello poi che
mi dètte cinque monete d’oro, perché le portassi a voi, ma io trovai il Gatto e
la Volpe che mi condussero all’Osteria del Gambero Rosso, dove mangiarono come
lupi, e partito solo di notte incontrai gli assassini che si messero a corrermi
dietro; e io via e loro dietro, e io via e loro sempre dietro, e io via, finché
mi impiccarono a un ramo della Quercia Grande, dovecché la bella Bambina dai
capelli turchini mi mandò a prendere con una carrozzina, e i medici quando
m’ebbero visitato, dissero subito: – «Se non è morto, è segno che è sempre vivo»
– e allora mi scappò detta una bugia, e il naso cominciò a crescermi e non mi
passava più dalla porta di camera, motivo per cui andai con la Volpe e col
Gatto a sotterrare le quattro monete d’oro, ché una l’avevo spesa all’Osteria,
e il Pappagallo si messe a ridere, e viceversa di duemila monete non trovai più
nulla, la quale il Giudice quando seppe che ero stato derubato mi fece subito
mettere in prigione per dare una soddisfazione ai ladri.
Il monologo che Pinocchio sciorina davanti all’incanutito Geppetto
nel ventre del Pesce-cane è visibilmente diverso da quelli precedenti. È più
connesso, più maturo nell’eloquio, più consapevole della concatenazione degli
eventi. Dopo una prima parte, concitata ma realistica, restano nessi incongrui
come quel «dovecché» che segue l’impiccagione e precede l’arrivo della
carrozzina della Fata, e quel «motivo per cui» che dovrebbe rappresentare la
giustificazione logica del passaggio dall’allungamento del naso in casa della
Fata al sotterramento delle monete d’oro, e invece rappresenta l’ultima
sconnessione di questo terzo e definitivo monologo. Dopo, avremo soltanto il
breve percorso, in un solo capitolo, del passaggio dalla perdizione alla
redenzione che si verifica dopo il transito purificatore nel ventre del Pesce-cane.
Ma la conclusione, pur sgrammaticata, con quel «la quale» che non c’entra
nulla, è analitica, potente, matura: il giudice l’ha fatto mettere in prigione
«per dare una soddisfazione ai ladri». Qui Pinocchio manifesta una capacità di
riflessione che finora non gli avevamo conosciuta; il processo di crescita
intellettuale che si sta manifestando è figlio di quanto gli è «andato a
traverso», e in questo le avventure, o meglio le disavventure, sono i riti di
passaggio che Pinocchio deve superare per arrivare alla conclusione logica
della fiaba. «Il burattino passa da un orrore all’altro, prende bastonate
sempre più pesanti fino a quando cederà le armi. Tutto questo è il prezzo che
bisogna pagare per potersi confondere nella società civile. […] Diventerà un bravo
ragazzo solo dopo aver scoperto che il mondo è abitato da truffatori e da
giudici che mettono in galera gli innocenti citrulli» [Cerami, 2002, p. xxiv].
Nel monologo «L’arruffìo logico-sintattico mima alla perfezione
la tumultuosità fanciullesca dei suoi sentimenti» [Spinazzola, 1997, p. 64], ma
compone anche un piccolo capolavoro di riassunto per immagini delle vicende
appena trascorse, come nota con una bella similitudine Lavagetto: «Il pericolo,
la minaccia, l’inganno, il sotterfugio, i fantasmi, le improvvise apparizioni
si succedono come se, ad evocarli, fosse una lanterna magica in cui un
operatore frenetico inserisse una diapositiva dietro l’altra» [2003, p. 271]. E
infatti la commozione di Pinocchio, quando ritrova Geppetto, è tale che «ci
mancò un ette che non cadesse in delirio», e «mugolava confusamente e
balbettava delle parole tronche e sconclusionate», prima di gettargli le
braccia al collo. Una costruzione linguistica che è il segno di una maturazione
emotiva di Pinocchio, e infatti in quest’ultimo monologo «torna la paratassi,
che serve a connotare la tachicardia del narratore: è segno della sua
commozione» [Lavagetto, cit., p. 270].
La perdita dell’innocenza non passa tanto attraverso una
maturazione razionale, quanto piuttosto attraverso l’accumularsi
dell’esperienza del carattere ingiusto e contraddittorio della società in cui i
grilli parlanti lo vogliono a tutti i costi inserire. Fino all’ingestione da
parte del Pesce-cane, Pinocchio subisce gli avvenimenti con la sottomissione di
chi non si chiede nemmeno il perché delle cose. È stato «inaccessibile
all’esperienza» [Manganelli, 1977, p. 85], attento solo alle sue disordinate
pulsioni. Il mondo, tra il reale e il magico, che ha dovuto affrontare, l’ha
preso così com’è.
«La metamorfosi non è un evento che accade d’improvviso a conclusione del racconto, ma un percorso che precede l’avvio e si sviluppa fin dal principio della narrazione» [Gagliano, 2012,
«Com’ero buffo quand’ero burattino!» Quelle che Pinocchio
pronuncia alla conclusione del libro sono «Le prime parole che pronuncia a se
stesso» [Cerami, 2002, p. xxvi]. È la prima volta, nel racconto, in cui
Pinocchio si osserva con occhio analitico, e nel momento in cui prende
coscienza della propria individualità e della separazione definitiva
dall’irresponsabilità infantile, ecco che si profila la nascita dell’Io, e del
principio di realtà. E con la fine del libro si conclude anche, logicamente, il
processo di formazione che ne è la sostanza ultima.
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