02/12/23

CARLO EMILIO GADDA (o della complessità)

Accostandosi alla sua pagina per la prima volta, si può rimanere meravigliati di fronte ad una lingua diversa da quella utilizzata dagli altri narratori italiani coevi, e confusi per la difficoltà di cogliere sia i tanti riferimenti cui il testo rimanda, sia il significato letterale di molte frasi, nelle quali lo stravolgimento lessicale e l’alterazione sintattica rivelano immediatamente la lontananza dall’uso più convenzionale e comunicativo della lingua.

  
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Biografia (Treccani.it)


Carlo Emilio Gadda nasce il 14 novembre 1893 a Milano, in via Manzoni 5. Nel 1912, conseguita la licenza liceale a pieni voti, si iscrive all'Istituto Tecnico Superiore di Milano - Sezione Ingegneri (poi Politecnico). Il 1° giugno 1915, chiamato alle armi, è assegnato al 1° Reggimento Granatieri. Trasferito al 5° Reggimento Alpini, al fronte, il 25 ottobre 1917 viene fatto prigioniero durante la ritirata di Caporetto: trascorre la prigionia a Rastatt (Baden) e nel campo di Celle (Hannover).
Tornato in patria nel gennaio 1919, riprende gli studi al Politecnico e l'anno seguente si laurea in ingegneria industriale (sezione elettrotecnica). Nello stesso anno comincia a lavorare come ingegnere. Con pause più o meno lunghe e diversi soggiorni all'estero (Argentina, Germania, Francia, Belgio), Gadda svolgerà la professione di ingegnere fino al 1940.
Nel febbraio 1924 decide di dedicarsi alla letteratura: avvia la stesura dei Cahier d'études, pubblicati postumi con il titolo Racconto italiano di ignoto del Novecento (Einaudi, 1983). Nel 1926 inizia la sua collaborazione alla rivista "Solaria". Tra il 1928 e il 1929 scrive la tesi di laurea in filosofia su Leibniz (tesi mai discussa), lavora a Dejanira Classis (Novella seconda) e La meccanica e avvia una collaborazione alla rivista "La Fiera letteraria". Nel 1931, con le Edizioni di Solaria, pubblica il suo primo libro: La Madonna dei Filosofi. Inizia inoltre le collaborazioni al quotidiano "L'Ambrosiano". Nel 1934 pubblica il suo secondo libro, ancora con Solaria: Il castello di Udine. Nello stesso anno collabora alla "Gazzetta del Popolo". Nel 1937 la sua Meditazione breve. Circa il dire e il fare (poi raccolta in I viaggi la morte, Garzanti 1958) apre il primo numero della nuova rivista fiorentina "Letteratura". L'anno seguente, sempre su "Letteratura", pubblica il primo tratto della Cognizione del dolore. Nel 1939 pubblica il suo terzo libro: Le meraviglie d'Italia (Parenti).
Nel 1940 si trasferisce a Firenze, in via Repetti 11. A Firenze si fermerà per un decennio (con uno "sfollamento" presso amici nella campagna fuori città, per evitare i bombardamenti, dall'estate 1943). In questo periodo pubblica Gli anni (Parenti), L'Adalgisa (Le Monnier) e, a puntate sulla rivista "Letteratura", Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.
Nel 1950, per ovviare a una situazione economica precaria, si trasferisce a Roma, assunto dalla Rai come consulente presso la redazione letteraria del giornale radio, poi come redattore alla Direzione programmi del Terzo Programma. Per la Rai scrive le Norme per la redazione di un testo radiofonico (stampato anonimo per uso interno, è reso pubblico con un'edizione Eri nel 1973). Nello stesso anno vince il "Premio Taranto" con il racconto Prima divisione nella notte.
Nel 1952 pubblica Il primo libro delle Favole (Neri Pozza). L'anno seguente, Novelle dal Ducato in fiamme (Vallecchi) che vince il "Premio Viareggio".
Nel 1955 si dimette dalla Rai e si trasferisce, sempre a Roma, in via Blumenstihl 19, sua ultima residenza. Pubblica il Giornale di guerra e di prigionia (Sansoni).
Nel 1957 Garzanti pubblica in volume Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, per il quale gli viene assegnato il "Premio degli Editori". 
Gadda diventa uno scrittore di successo.
Nel 1961 pubblica Verso la Certosa (Ricciardi). Nel 1963 esce in volume La Cognizione del dolore (Einaudi), che vince il prestigioso "Prix international de littérature". Nello stesso anno è pubblicata la raccolta di racconti Accoppiamenti giudiziosi (Garzanti). Nel 1964 gli viene conferito il "Premio Montefeltro" per l'intera opera letteraria.
Dal 1964 alla morte, anche per la pressione degli editori, pubblica in volume scritti già apparsi su riviste o inediti incompiuti la cui stesura risale a tempo prima: I Luigi di Francia (Garzanti, 1964), Le Meraviglie d'Italia. Gli anni (Einaudi, 1964), I racconti (Garzanti, 1965), Il guerriero, l'amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo (Garzanti, 1967), Eros e Priapo (Garzanti, 1967), La meccanica (Garzanti, 1970), Novella seconda (Garzanti, 1971).
Nel 1972 la Presidenza del Consiglio dei Ministri gli conferisce il "Premio Penna d'Oro".
Carlo Emilio Gadda muore a Roma il 21 maggio 1973. Con la morte, non cessa la produzione editoriale dei suoi titoli, anche con pubblicazioni di opere inedite e numerosi epistolari.
Dal 2 novembre 2000 le sue spoglie si trovano nel Cimitero acattolico di Roma. L’epigrafe della tomba, composta dal poeta Mario Luzi, recita:

 «Qui nel cuore antico / e sempre vivo / di sogni e d’utopie / Roma dà asilo / alle spoglie di / Carlo Emilio Gadda / geniale e studioso artista / dalle forti passioni / morali e civili / signore della prosa». 


Gadda va inteso nel contesto dei grandi esperimenti formali del Novecento europeo.


Il suo romanzo più famoso:

QUER PASTICCIACCIO....


"Il Pasticciaccio: è uno dei pochissimi libri utili e necessari d’Italia" (scrive così  Italo Calvino, nel 58)
  • complessità manzoniana della storia
  • impossibilità della forma chiusa
  • in ogni sua frase un compendio della storia linguistica d’Italia
  • ha scritto nel primo novecento, ha pubblicato per il successo nel secondo: inattuale sempre.

Il romanzo nacque da uno spunto di cronaca
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Corrado Bologna su Quer Pasticciaccio: 


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«Piuttosto che nominare gli oggetti e le cose, Gadda li sorprende nel loro farsi e testimonia della loro provvisoria esistenza». Per chiunque si trovi ad affrontare la gigantesca figura di Carlo Emilio Gadda, il massimo scrittore italiano del Novecento, c’è un’altra montagna da scalare: è quella «Disarmonia prestabilita» con la quale Giancarlo Roscioni aprì, ormai oltre 40 anni fa, il labirinto gaddiano a generazioni di lettori, Italo Calvino compreso, rivelando le ragioni profonde di percorsi digressivi acrobatici, di processi astrattivi, di un “pasticciaccio” linguistico che infiamma la prosa.
«Conoscere – per il Gran Lombardo – è inserire alcunché nel reale, è quindi deformare il reale». 
Ma l’obiettivo del suo furore incendiario resta sempre quello di ricostruire il piano della realtà, per non arrendersi al caos. Il momento della deformazione serve a disvelare, dietro la superficie delle cose, la trama che le unisce le une alle altre conferendo a ciascuna la sua provvisoria apparenza. Lo gnommero di Ingravallo va dipanato. L’ansia dell’ingegnere non si ferma alla rappresentazione del magma del reale, non rinuncia mai a risalire la catena delle molteplici cause per arrivare al quadro, all’insieme.
Scrive Gadda stesso nella prefazione al romanzo La cognizione del dolore









" ...il barocco e il grottesco albergano già nelle cose...... talché il grido-parola d’ordine «barocco è il G.!» potrebbe commutarsi nel più ragionevole e più pacato asserto «barocco è il mondo, e il G. ne ha percepito e ritratto la baroccaggine"


Per essere rappresentata, dunque, questa realtà barocca e grottesca, richiede una scrittura altrettanto barocca, che si avvale di lingue diverse, di espressioni ridondanti, di immagini non comuni. La scrittura non deve rispecchiare la realtà secondo i modi tradizionali, oggettivi, del realismo, che ne colgono solo lo strato superficiale, ma riprodurne la complessità, la molteplicità, le manifestazioni aggrovigliate come un gomitolo. 


Italo CALVINO parla di Gadda nella quinta lezione americana, MOLTEPLICITA':

“Nei testi brevi come in ogni episodio dei romanzi di Gadda”, scrive Calvino, “ogni minimo oggetto è visto come il centro d’una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli in modo che le sue descrizioni e divagazioni diventano infinite. Da qualsiasi punto di partenza il discorso s’allarga a comprendere orizzonti sempre più vasti, e se potesse continuare a svilupparsi in ogni direzione arriverebbe ad abbracciare l’intero universo.”


Vedi per intero il  saggio di Gadda  

"LINGUA LETTERARIA E LINGUA DELL'USO": 

https://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/essays/lingualetterariauso.php


Lo stile di Gadda nasce da questo intento “realista” che si manifesta in primo luogo nella lingua: per fedeltà ai caratteri della realtà, Gadda sceglie i più diversi registri linguistici e stilistici, ricorrendo alla mescolanza di termini letterari e forme popolari, alla deformazione e all’invenzione di parole, alla contaminazione di lingue antiche e moderne, compresi i dialetti. Il risultato di tale operazione fondata sulla manipolazione di materiale eterogenei è definito dalla critica pastiche, ed è una delle manifestazioni più significative dell’espressionismo letterario, non solo italiano.

Dialetto, tecnicismi, latinismi, linguaggio settoriale e specifico (notarile, ingegneristico, bancario...) gli permetteranno di disintegrare il linguaggio tradizionale letterario, considerato retorico e vuoto, attraverso un  "USO SPASTICO DELLA LINGUA"

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IL RACCONTO CHE MEGLIO ESEMPLIFICA TUTTO QUESTO E' L'incendio di via Keplero, scritto negli anni trenta.

https://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/journal/monographs/sarina/pdf/Keplertext.pdf 


Da questa motivazione si può fare un buon esercizio di riscrittura: descrizione di un disastro con uso di ripetizioni, elenchi, parole di gerghi diversi; descrizione di almeno tre personaggi diversi
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Vedi il recente lavoro confluito nel GADDABOLARIO, a cura di PAOLA ITALIA:

https://www.ilpost.it/2023/11/14/gaddabolario-parole-carlo-emilio-gadda-gnommero/

Anche da qui si ricava un buon esercizio: cercare una parola "impossibile" e chiedere alla classe di inventarne la definizione; oppure creare una parola inesistente con la sua definizione e poi mettere ai voti le più efficaci.

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DA LA COGNIZIONE DEL DOLORE


IL PROTAGONISTA, GONZALO PIROBUTIRRO, SI FA VISITARE DA UN DOTTORE E IMPROVVISAMENTE FA UNA SFURIATA:

E di nuovo si lasciava prendere da un’idea, e levò la voce, rabbiosamente: «Ah! il mondo delle idee! che bel mondo!… ah! l’io, io… tra i mandorli in fiore… poi tra le pere, e le Battistine, e il Giuseppe!… l’io, l’io!… Il più lurido di tutti i pronomi!…».
Il dottore sorrise della sfuriata, non capì. Colse tuttavia il destro di volgere un po’ al sereno le parole, se non l’umore e i pensieri.
«… E perché diavolo? Che le hanno fatto di male, i pronomi? Quando uno pensa un qualchecosa deve pur dire: io penso… penso che il sole ci passeggia sulla cucùrbita, da destra a sinistra…». (Nel Sud-America, difatti, e nella Canzone di Legnano).
«… I think; già: but I’m ill of thinking…» mormorò il figlio. «… I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta, come tutti quelli che hanno i pidocchi… e nelle unghie, allora… ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona…».

Leggi questo famoso brano del romanzo in cui Gadda con  pungente parodia descrive una cena borghese: 

https://habdia.wordpress.com/2012/01/11/carlo-emilio-gadda-e-della-loro-faccia-di-manichini-ossibuchivori/

Ancora da TOTEM, Alessandro Baricco su questo brano


ALESSANDRO BARICCO nel programma TV "TOTEM", SUL FINALE DELLA COGNIZIONE

"Il posto prezioso che hanno i veri grandi scrittori nella nostra vita, la cosa per cui noi abbiamo una grande gratitudine nei loro confronti, è che loro sono capaci di dare nomi alla vita, alla nostra esistenza. Erano grandi perchè riuscivano a nominare le cose, alcune molto semplici ed altre molto molto più complicate. Nominare è una cosa preziosa per tutti, dare i nomi alle cose; si danno i nomi alle cose per difendersi dalle cose. (...)
. Quello che scrisse fu questo:

-- Lasciamola tranquilla disse il dottore, andate, uscite.
Nella stanchezza senza soccorso in cui il povero volto si dovette raccogliere tumefatto, come in un estremo recupero della sua dignità, parve a tutti di leggere la parola terribile della morte e la sovrana coscienza dell'impossibilità di dire: -Io- .L'ausilio dell'arte medica, lenimento e pezzuole, dissimulò in parte l'orrore.
Si udiva il residuo d'acqua ed alcool delle pezzuole strizzate, ricadere gocciolando in una bacinella. 
Ed alle stecche della persiana già l'alba. Il gallo improvvisamente la suscitò dai monti lontani perentorio ed ignaro come ogni volta. La invitava ad accedere e ad elencare i gelsi, nella solitudine della campagna apparita. -


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Percorso  in slides su GADDA   a cura del dott. Francesco Bortolotto

1) Introduzione a Gadda








2) GADDA E MANZONI 






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Apologia manzoniana
(in Solaria, 1927)

 Scelta di brani


Con un disegno segreto e non appariscente egli disegnò gli avvenimenti inavvertiti: tragiche e livide luci d’una società che il vento del caso trascina in un corso di miserie senza nome. […]
Volle poi che il suo dire fosse quello che veramente ognun dice, ogni nato della sua molteplice terra e non la trombazza roca d’un idioma impossibile che nessuno parla, non solo, e sarebbe il male minore, ma che nessuno pensa né parlando a sé o al suo amico, né alla sua ragazza, né a Dio. […] Egli volle parlare da uomo agli uomini, ai miserabili uomini. […]
Quello stesso amore per cui disegnò la dolce figura d’una popolana, lo condusse a dire le cose vere delle anime con le vere parole che la stirpe mescolata e bizzarra usa nei sogni, nei sorrisi e dolori. Dipinse d’altronde anche marchesi, conti e duchi, sia nazionali che esteri, e non meno bene che quelli dal ciuffo. […] Nei chiusi palazzi vi sono sale con volte dipinte, tubi di penombra: a crociera nella penombra arriva da minori volte il lume di tutti, che finestrette misurano avaramente. Quivi dietro grate ingiuste e irremovibili pallidi visi, occhî cerchiati di rinunce distruggitrici scrutano la sana vita degli altri e la luce, la perduta luce del mondo polveroso e rivoltolato dove sono le spade, le piume, le corse affannose ed il sangue. Negli atroci silenzî la legge si fa irreale, perché nessun termine di giusto riferimento le è conceduto. Non vi è legge se non nelle viscere torturate. […]
Ma una tragica sinfonia inizia il poema: già si delinea la tragedia spaventosa di una società senza norma e senza volere, che il caso allora travolge.  […] La tragica sinfonia vuol scendere nelle viscere proprie della stirpe, da che poi i mali palesi ed esterni, quali sono le percosse, l’arbitrio, la derisione, il saccheggio, la contumelia, il patteggiamento, la prepotenza, la miseria, la paura, l’ignavia dell’anima e i suoi nefandi errori nel conoscere e nell’eleggere, il creder possibile il bene d’uno senza quello di tutti, l’amare il suo figlio e non la sua figlia, l’affidare la propria storia e il destino al volere di altri, il proprio pensiero ad una regola imposta da altri e perciò non sentita; da poi che i tocchi profondi ed oscuri non si palesano alle anime, ebbene ultimo consentimento: cioè sciagura a cui consentire: una povera terra, ultimo male: la fame.
Renzo, non meno della sua ragazza, rappresenta nel suo poema la stirpe, operante per elezione morale.


Don Alessandro, alcuno mai non ci farà dono d’una nuova edizione della vostra storia! Ma, se così fosse, vi chiederemmo: “Don Alessandro, non fotografate così spietatamente le magagne di casa; non interpretate così acutamente, ai fini d’un ammonimento sublime, i fatti che sogliono ricevere espressione nella retorica del giorno. Che Renzo sia un libertario un po’ in gamba, mettetegli almeno una cravatta di quelle che portarono i terribili comunardi della vostra Parigi. Che Lucia non sia così modesta, così legata, così facile ai rossori, da attirarsi le beffe di un asso della tiratura romanzesca. Oppure camuffate Renzo da guidatore su pista e fategli declamare Nietzsche, svestite Lucia e fatele leggere Margueritte. Allora soltanto potrete sperare un posto in Parnaso; mentre così, Don Alessandro (ma che avete mai combinato?) vi relegano nelle antologie del ginnasio inferiore, per uso dei giovinetti un po’ tardi e dei loro pigri sbadigli. Che cosa avete mai combinato, Don Alessandro, che qui, nella vostra terra, dove pur speravate nell’indulgenza di venticinque sottoscrittori, tutti vi hanno per un povero di spirito?
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3) L'INGEGNER GADDA VA ALLA GUERRA











               Giornale di guerra e di prigionia


Scelta di brani

[1]
Cellelager, Block C, Baracca 15, camera B. – 5 maggio 1918 – ore 20:00.
Ma non pensiamo a noi, alla nostra sorte irredimibile, alla nostra vergogna, al nostro dolore. Che importa, anche per noi singoli, se un’ombra tragica è proiettata sulla nostra vita per sempre, come l’ombra del monte invade precoce la valle che il sole è ancor alto nel giorno? Noi siamo colpevoli o vittime che non meritano d’essere considerati; martiri inutili; lasciamoli al loro martirio. I fratelli più degni o più fortunati perseguono l’opera in minor numero, in maggior gloria. Preghiamo per la loro gloria, per la salute della patria, preghiamo nell’ombra. Possa esser data alla patria la sua giusta grandezza, la sua forma pura ed immune; possa essere largita ai suoi fedeli la corona della vittoria.

[2]
Vicenza, 5 giugno 1916.
Il mio animo, nonostante la placida vita di questi giorni, non è affatto sereno: alle ragioni permanenti della mi tristezza […] si uniscono quelle concernenti la nostra situazione militare. La preoccupazione patriottica, etnica e politica vela come di un colore di desolazione l’aspetto della mia patria divina, della mia gente: […] verso i monti guardo con rincrescimento e paura […] ciò nonostante  la mia volontà è fermissima, nel decidere che è doverosa la mia presenza al fronte. […] Spero che il mio sistema nervoso sostenga l’orrore della guerra, che ancora e sempre non per ostinazione polemica io credo necessaria e santa.
Treschè Conca, 24 luglio 1916
La paura continua, incessante, logorante che fa stare Scandella e Giudici e Carrara rintanati nel buco come delle troie incinte, è roba che mi fa schifo. 

[3]
Treschè Conca, 21 luglio 1916, ore 18:00
Il pasticcio e il disordine mi annientano
Treschè Conca, 21 luglio 1916, ore 20:00
La malinconia, al pensiero delle stranezze finanziarie della mia famiglia, mi cresce: col pensiero instabile rivedo tutti gli anni di privazioni e di fatiche durati dalla mamma […] quale tristezza deve occupare il suo animo, oltre la continua angoscia a pensare che tante fatiche potrebbero in un attimo diventar vane. Io mi ripeto angosciosamente un voto già fattomi:
Che la guerra prenda me, ma non mio fratello!

[4]
Lettera al cugino Piero Gadda Conti, 1967
A mia tenue e, forse, insufficiente scusa, valga il fatto che ero stato travolto da terribili anni (come tutti); che non avevo avuto la forza d’animo di affrontarli col necessario eroismo: che, insomma, avevo mancato a tutto, su tutta la linea. Ero già allo stremo delle mie forze il 10 giugno 1940, prima che la ennesima e più terribile guerra si aprisse a nuovi e insuperati orrori. Molte cose vorrei dirti prima di spegnermi, ma solo a voce, come in confessione, per non essere ulteriormente incriminato di colpe che non sono colpe e di delitti che non ho commesso. Bastano già i miei rimorsi a crocifiggermi. Saluto te e i tuoi con un affetto.
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