Il giovane favoloso ( a cura di AGISscuola)
·
Sinossi:
Al pari di Mozart con suo padre Leopold, Giacomo
Leopardi è un bambino prodigioso che cresce sotto lo sguardo orgoglioso e
implacabile del padre, il conte Monaldo,dentro una casa che è una biblioteca.
Sua madre, cattolicissima, pretende di assistere alle confessioni in chiesa del
figlio. Giacomo non esce quasi mai di casa, intorno a sé ci sono solo libri, e
oltre i libri, le alte mura della cittadina di Recanati. Dentro quella
biblioteca la mente infinita di Giacomo cerca spazio, impara tutto e tutto
padroneggia, ma la biblioteca è una prigione: per quanto in quelle pagine si
legga di tutto l'universo, l'universo è fuori, lontano, irraggiungibile. Tra
queste mura prendono forma l'immaginazione del poeta e al contempo le malattie
che lo tormenteranno per tutta la vita. Dalla finestra di casa Giacomo osserva
la vita quotidiana del paese, e ha cara la ragazza che lavora al filatoio
nell'umile casa di fronte. Avvia, attraverso le poesie, un'autobiografia
interiore immensa e sofferta che lo porterà a delineare sempre più nitidamente
il suo pensiero: in tempi di cattolicesimo assoluto e nella terra del papa,
sarà un pensiero laico, lucido, una capacità implacabile di scorgere tutte le
ipocrisie della società che avrà intorno. Ma già da adolescente sente che fuori
il mondo cambia, l'Illuminismo apre la mente, scoppiano le rivoluzioni: Giacomo
il ribelle cerca disperatamente contatti con l'esterno. Entra in corrispondenza
con Pietro Giordani, un letterato che intuisce la gigantesca statura poetica
del ragazzo. Nasce un fortissimo,reciproco trasporto, le loro lettere bruciano,
come brucia il breve incontro che avviene a Recanati. Leopardi sente di dover
scappare e organizza la fuga. Dal passaporto alla carrozza tutto è pronto
quando il progetto viene scoperto da Monaldo. Mentre la ragazza del filatoio
muore per tisi, la prigione di Recanati chiude inesorabile le sue porte.
Sono passati dieci anni. I maggiori circoli intellettuali italiani da tempo hanno aperto le porte al sublime poeta tormentato e veggente ma Giacomo mal si adatta alle ipocrisie dei salotti e rifiuta ogni offerta di lavoro che possa ingabbiare la sua libertà di pensiero. Ha amato diverse donne, amori perlopiù infelici, ma è un uomo la persona a cui si è legato e con cui convive da bohémien: è più giovane di lui, è un rivoluzionario napoletano in fuga, bello, romantico, patriottico, si chiama Antonio Ranieri. Anche Ranieri, come Giordani, capisce la grande statura dell'amico, e lo assiste con devozione, mettendo su carta i versi che Giacomo gli detta. Leopardi è infatti sempre più segnato dalle sue malattie, ma semicecità e deformazioni non gli impediscono di invaghirsi della dama fiorentina Fanny Targioni-Tozzetti, che a sua volta è invaghita di Ranieri. Il pensiero che nulla nasconde dell'infelicità della condizione umana è tutt'uno con la spinta vitale di Giacomo, che sperimenta sempre su di sé quelle "illusioni naturali dell'animo" che racchiudono, per lui, l'unico senso dello stare al mondo. Fanny sparirà da questa costellazione come la luna che precipita dal cielo negli incubi di Leopardi, lasciando un buco nero nello spazio e un deserto nel cuore di Giacomo.
Ranieri, invece, resta vicino all'amico e non lo lascia, il loro rapporto è destinato a durare per sempre. Intanto la restaurazione si fa sentire, ma i suoi oppositori si fanno forza di idealismi che appaiono patetici agli occhi di Leopardi: il rapporto del poeta con la società intellettuale del suo tempo peggiora di anno in anno, Leopardi è sempre più emarginato. Un'amnistia riapre a Ranieri le porte della sua città, Antonio convince Giacomo a trasferirsi con lui a Napoli, dove l'aria è salubre e il clima giovevole alle sue condizioni di salute.
Ai due amici tocca un'ultima sosta a Roma prima di arrivare a Napoli. Nella città del Papa e del potere, invisa a Leopardi, riappare, durante l'incontro con gli zii Antici che avverrà dopo una lunga attesa, il fantasma di Recanati. È qui che l'ultimo filo con la famiglia si spezza, Leopardi ha tagliato tutti i lacci, pronto a vivere "secondo natura".
L'incontro con Napoli cambia tutto. Il poeta vive immerso nello spettacolo disperato e vitale della città plebea, le case dove Giacomo convive con Ranieri si trovano sempre in quartieri popolari, i cui vicoli sono pieni di gente che vive per strada, ladri, prostitute, scugnizzi che additano il poeta ormai gobbo chiamandolo "ranavuottolo", ranocchio. Ma Leopardi ama Napoli e la sua sfacciata realtà. Preferisce intrattenersi con gli uomini e i ragazzi che popolano le osterie piuttosto che con gli esponenti della società intellettuale napoletana, ai quali dedica versi fulminanti. Sa ridere Leopardi, a dispetto della disperazione che anima la sua scrittura, sempre più lucida e straordinaria. Nietzsche, considerandolo il più grande creatore di stile poetico dell'Ottocento, accosterà Leopardi a Chopin, per il modo in cui guarda e adora la bellezza.
Scoppia il colera. Preoccupato per la salute di Giacomo, Ranieri provvede a trovargli per il periodo estivo una casa in collina, alle pendici del Vesuvio. Il monte sovrasta la casa, con le sue colate immense, il fumo nero che avvolge tutto, Pompei ai suoi piedi. Leopardi scrive La ginestra, la lunga poesia in cui racchiude il suo pensiero, avvolgendo l'esperienza umana, la storia, la natura, il cosmo in un unico flusso il cui termine ultimo è il silenzio.
Sono passati dieci anni. I maggiori circoli intellettuali italiani da tempo hanno aperto le porte al sublime poeta tormentato e veggente ma Giacomo mal si adatta alle ipocrisie dei salotti e rifiuta ogni offerta di lavoro che possa ingabbiare la sua libertà di pensiero. Ha amato diverse donne, amori perlopiù infelici, ma è un uomo la persona a cui si è legato e con cui convive da bohémien: è più giovane di lui, è un rivoluzionario napoletano in fuga, bello, romantico, patriottico, si chiama Antonio Ranieri. Anche Ranieri, come Giordani, capisce la grande statura dell'amico, e lo assiste con devozione, mettendo su carta i versi che Giacomo gli detta. Leopardi è infatti sempre più segnato dalle sue malattie, ma semicecità e deformazioni non gli impediscono di invaghirsi della dama fiorentina Fanny Targioni-Tozzetti, che a sua volta è invaghita di Ranieri. Il pensiero che nulla nasconde dell'infelicità della condizione umana è tutt'uno con la spinta vitale di Giacomo, che sperimenta sempre su di sé quelle "illusioni naturali dell'animo" che racchiudono, per lui, l'unico senso dello stare al mondo. Fanny sparirà da questa costellazione come la luna che precipita dal cielo negli incubi di Leopardi, lasciando un buco nero nello spazio e un deserto nel cuore di Giacomo.
Ranieri, invece, resta vicino all'amico e non lo lascia, il loro rapporto è destinato a durare per sempre. Intanto la restaurazione si fa sentire, ma i suoi oppositori si fanno forza di idealismi che appaiono patetici agli occhi di Leopardi: il rapporto del poeta con la società intellettuale del suo tempo peggiora di anno in anno, Leopardi è sempre più emarginato. Un'amnistia riapre a Ranieri le porte della sua città, Antonio convince Giacomo a trasferirsi con lui a Napoli, dove l'aria è salubre e il clima giovevole alle sue condizioni di salute.
Ai due amici tocca un'ultima sosta a Roma prima di arrivare a Napoli. Nella città del Papa e del potere, invisa a Leopardi, riappare, durante l'incontro con gli zii Antici che avverrà dopo una lunga attesa, il fantasma di Recanati. È qui che l'ultimo filo con la famiglia si spezza, Leopardi ha tagliato tutti i lacci, pronto a vivere "secondo natura".
L'incontro con Napoli cambia tutto. Il poeta vive immerso nello spettacolo disperato e vitale della città plebea, le case dove Giacomo convive con Ranieri si trovano sempre in quartieri popolari, i cui vicoli sono pieni di gente che vive per strada, ladri, prostitute, scugnizzi che additano il poeta ormai gobbo chiamandolo "ranavuottolo", ranocchio. Ma Leopardi ama Napoli e la sua sfacciata realtà. Preferisce intrattenersi con gli uomini e i ragazzi che popolano le osterie piuttosto che con gli esponenti della società intellettuale napoletana, ai quali dedica versi fulminanti. Sa ridere Leopardi, a dispetto della disperazione che anima la sua scrittura, sempre più lucida e straordinaria. Nietzsche, considerandolo il più grande creatore di stile poetico dell'Ottocento, accosterà Leopardi a Chopin, per il modo in cui guarda e adora la bellezza.
Scoppia il colera. Preoccupato per la salute di Giacomo, Ranieri provvede a trovargli per il periodo estivo una casa in collina, alle pendici del Vesuvio. Il monte sovrasta la casa, con le sue colate immense, il fumo nero che avvolge tutto, Pompei ai suoi piedi. Leopardi scrive La ginestra, la lunga poesia in cui racchiude il suo pensiero, avvolgendo l'esperienza umana, la storia, la natura, il cosmo in un unico flusso il cui termine ultimo è il silenzio.
·
Genere: drammatico
·
Regia: Mario Martone
·
Titolo Originale: Il giovane favoloso
·
Distribuzione: 01 Distribution
·
Produzione: Palomar con Rai Cinema
·
Data di uscita al cinema: 16 ottobre 2014
·
Durata: 135’
·
Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita di Majo
·
Direttore della Fotografia: Renato Berta
·
Montaggio: Jacopo Quadri
·
Scenografia: Giancarlo Muselli
·
Costumi: Ursula Patzak
·
Attori: Elio Germano, Michele Riondino, Massimo Popolizio,
Anna Mouglalis, Valerio Binasco, Paolo Graziosi, Iaia Forte, Sandro Lombardi,
Isabella Ragonese
·
Destinatari: Scuole Secondarie di II grado
·
Approfondimenti:
"Così ho pensato di andare verso la Grotta,
in fondo alla quale, in un paese di luce,
dorme, da cento anni, il giovane favoloso."
in fondo alla quale, in un paese di luce,
dorme, da cento anni, il giovane favoloso."
Anna Maria Ortese
(Pellegrinaggio alla tomba di Leopardi contenuto nella raccolta Da Moby Dick all'Orsa Bianca-Scritti sulla letteratura e sull'arte, Adelphi 2011)
(Pellegrinaggio alla tomba di Leopardi contenuto nella raccolta Da Moby Dick all'Orsa Bianca-Scritti sulla letteratura e sull'arte, Adelphi 2011)
NOTE DI REGIA
Abbiamo scritto la sceneggiatura del film attingendo
agli scritti di Leopardi e all'insieme del suo epistolario, lo scrigno
attraverso cui è possibile seguire la sua breve vita dalla Recanati della
biblioteca paterna fino alla Napoli del colera e del Vesuvio.
Ed ecco la famiglia di Giacomo, il padre Monaldo, il compagno della vita Antonio Ranieri, gli intellettuali del tempo, la donna per la quale si accese di passione, Fanny Targioni Tozzetti... Ma il mio interesse non è per l'aneddoto: la vita di Leopardi è tutt'uno con la sua scrittura, si potrebbe dire che non c'è un suo verso, non c'è un suo rigo che non sia autobiografico. Leopardi sa, con molto anticipo su Proust, o su Beckett, che solo la radicale esperienza di se stessi consente la partita con la verità: da qui le poesie, lo Zibaldone, le Operette morali. È per questo che oggi possiamo sentire Leopardi con tanta forza.
Affrontare la vita di Leopardi significa inoltre svelare un uomo libero di pensiero, ironico e socialmente spregiudicato, un ribelle, per questa ragione spesso emarginato dalla società ottocentesca nelle sue varie forme, un poeta che va sottratto una volta e per tutte alla visione retorica che lo dipinge afflitto e triste perché malato. Dopo Noi credevamo, ho voluto insistere con questo film nel tentativo di riportare alla luce pezzi del nostro passato a mio avviso preziosi per il presente, ma questa volta non si tratta di un film storico. Il giovane favoloso vuole essere la storia di un'anima, che ho provato a raccontare, con tutta libertà, con gli strumenti del cinema.
Ed ecco la famiglia di Giacomo, il padre Monaldo, il compagno della vita Antonio Ranieri, gli intellettuali del tempo, la donna per la quale si accese di passione, Fanny Targioni Tozzetti... Ma il mio interesse non è per l'aneddoto: la vita di Leopardi è tutt'uno con la sua scrittura, si potrebbe dire che non c'è un suo verso, non c'è un suo rigo che non sia autobiografico. Leopardi sa, con molto anticipo su Proust, o su Beckett, che solo la radicale esperienza di se stessi consente la partita con la verità: da qui le poesie, lo Zibaldone, le Operette morali. È per questo che oggi possiamo sentire Leopardi con tanta forza.
Affrontare la vita di Leopardi significa inoltre svelare un uomo libero di pensiero, ironico e socialmente spregiudicato, un ribelle, per questa ragione spesso emarginato dalla società ottocentesca nelle sue varie forme, un poeta che va sottratto una volta e per tutte alla visione retorica che lo dipinge afflitto e triste perché malato. Dopo Noi credevamo, ho voluto insistere con questo film nel tentativo di riportare alla luce pezzi del nostro passato a mio avviso preziosi per il presente, ma questa volta non si tratta di un film storico. Il giovane favoloso vuole essere la storia di un'anima, che ho provato a raccontare, con tutta libertà, con gli strumenti del cinema.
Mario Martone
Biografia di Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798 dal Conte Monaldo e da Adelaide dei marchesi Antici.
Era il primogenito di 10 figli e trascorse la sua fanciullezza con i fratelli a Recanati, studiando prima con un precettore e poi, da solo, nella ricca biblioteca del padre.
Leopardi, fin da giovane, aveva una grande volontà di sapere e studiare; imparò presto il latino, il greco e l'ebraico.
Era talmente bravo, che presto il suo maestro pensò di non essere più utile per i suoi studi, lasciandolo da solo alle prese con i suoi libri nella biblioteca di famiglia, dove Giacomo trascorreva la maggior parte del suo tempo.
Questi primi anni di studio così intenso senza nessuno svago o gioco, provocarono in lui problemi fisici ed una tristezza di fondo che lo accompagnarono per tutta la vita.
A 14 anni aveva già composto due tragedie in greco (Pompeo in Egitto e Virtù indiana) ed aveva affrontato delle ricerche di carattere scientifico. Imparò l'inglese, il francese e lo spagnolo, leggeva e commentava libri difficili e poco conosciuti traducendoli in italiano.
A 15 anni terminò una Storia della Astronomia e due anni dopo con il Saggio sopra gli errori degli antichi mostrò una maturità personale ed una capacità di comporre molto forte.
A 17 anni iniziò quella che lui stesso definì una conversione letteraria. Approfondendo Dante, Omero e Virgilio perfezionò il suo stile nello scrivere e rivalutò questi autori che prima aveva disprezzati.
Leopardi aveva intanto continuato a comporre versi e prose sempre più importanti e di stile pregiato. Il suo più caro amico Pietro Giordani, si rendeva conto della sua grande bravura ma non avvertiva che Leopardi, con le sue opere, stava entrando nella letteratura italiana come uno dei più grandi poeti dei sentimenti e della immaginazione.
Il continuo lavoro di studio, la sua chiusura al mondo delle amicizie e degli affetti ed i suoi problemi fisici, fecero crescere in Leopardi una grande malinconia ed un forte pessimismo nei confronti della vita.
Nel 1822 venne a Roma ed invece di distrarsi peggiorò la sua condizione di malinconia ed incapacità ai rapporti umani. Tornato a Recanati, estese questa visione della sua vita alla storia dell'uomo. In questo periodo compose le Operette morali una serie di prose sulla natura, la morte, il dolore, la felicità e la noia.
Leopardi pensava che la natura non vuole il bene delle sue creature, ma la loro sofferenza, quella sofferenza che lui provava fisicamente e moralmente.
I principali temi del suo pessimismo furono la giovinezza perduta, l'infelicità dell'amore e della vita. Non trovò ne fidanzata ne moglie ed i suoi amori non furono mai ricambiati. Da ragazzo si innamorò della cugina Geltrude Cassi cui dedicò la poesia Il primo amore; poi della figlia del fattore, Teresa Fattorini, alla quale dedicò la famosa poesia A Silvia ed infine, nel1831 a Firenze, di Fanny
Torgiani Tozzetti. Soffrì molto per questa donna che lo illuse e lo trattò
male.
Intorno al 1823 cominciò per il poeta un periodo di vita attiva; viaggiò in molte città italiane: Milano, Bologna, Firenze, Pisa e Napoli. Iniziò anche a scrivere su alcuni giornali di carattere letterario e a partecipare ad alcuni incontri pubblici, soprattutto a Firenze.
Quando fu a Napoli, nel 1833, iniziò ad avere forti crisi di asma che lo portarono fino alla sua morte avvenuta tra le braccia del suo amico Ranieri nel1837, a
39 anni di età.
Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798 dal Conte Monaldo e da Adelaide dei marchesi Antici.
Era il primogenito di 10 figli e trascorse la sua fanciullezza con i fratelli a Recanati, studiando prima con un precettore e poi, da solo, nella ricca biblioteca del padre.
Leopardi, fin da giovane, aveva una grande volontà di sapere e studiare; imparò presto il latino, il greco e l'ebraico.
Era talmente bravo, che presto il suo maestro pensò di non essere più utile per i suoi studi, lasciandolo da solo alle prese con i suoi libri nella biblioteca di famiglia, dove Giacomo trascorreva la maggior parte del suo tempo.
Questi primi anni di studio così intenso senza nessuno svago o gioco, provocarono in lui problemi fisici ed una tristezza di fondo che lo accompagnarono per tutta la vita.
A 14 anni aveva già composto due tragedie in greco (Pompeo in Egitto e Virtù indiana) ed aveva affrontato delle ricerche di carattere scientifico. Imparò l'inglese, il francese e lo spagnolo, leggeva e commentava libri difficili e poco conosciuti traducendoli in italiano.
A 15 anni terminò una Storia della Astronomia e due anni dopo con il Saggio sopra gli errori degli antichi mostrò una maturità personale ed una capacità di comporre molto forte.
A 17 anni iniziò quella che lui stesso definì una conversione letteraria. Approfondendo Dante, Omero e Virgilio perfezionò il suo stile nello scrivere e rivalutò questi autori che prima aveva disprezzati.
Leopardi aveva intanto continuato a comporre versi e prose sempre più importanti e di stile pregiato. Il suo più caro amico Pietro Giordani, si rendeva conto della sua grande bravura ma non avvertiva che Leopardi, con le sue opere, stava entrando nella letteratura italiana come uno dei più grandi poeti dei sentimenti e della immaginazione.
Il continuo lavoro di studio, la sua chiusura al mondo delle amicizie e degli affetti ed i suoi problemi fisici, fecero crescere in Leopardi una grande malinconia ed un forte pessimismo nei confronti della vita.
Nel 1822 venne a Roma ed invece di distrarsi peggiorò la sua condizione di malinconia ed incapacità ai rapporti umani. Tornato a Recanati, estese questa visione della sua vita alla storia dell'uomo. In questo periodo compose le Operette morali una serie di prose sulla natura, la morte, il dolore, la felicità e la noia.
Leopardi pensava che la natura non vuole il bene delle sue creature, ma la loro sofferenza, quella sofferenza che lui provava fisicamente e moralmente.
I principali temi del suo pessimismo furono la giovinezza perduta, l'infelicità dell'amore e della vita. Non trovò ne fidanzata ne moglie ed i suoi amori non furono mai ricambiati. Da ragazzo si innamorò della cugina Geltrude Cassi cui dedicò la poesia Il primo amore; poi della figlia del fattore, Teresa Fattorini, alla quale dedicò la famosa poesia A Silvia ed infine, nel
Intorno al 1823 cominciò per il poeta un periodo di vita attiva; viaggiò in molte città italiane: Milano, Bologna, Firenze, Pisa e Napoli. Iniziò anche a scrivere su alcuni giornali di carattere letterario e a partecipare ad alcuni incontri pubblici, soprattutto a Firenze.
Quando fu a Napoli, nel 1833, iniziò ad avere forti crisi di asma che lo portarono fino alla sua morte avvenuta tra le braccia del suo amico Ranieri nel
Principali opere di Giacomo Leopardi
o
Discorso sulla poesia romantica
o
Poesie varie: I nuovi credenti
o
Nella morte di una donna
o
Le rimembranze
o
Canti: All'Italia
o
Ad Angelo Mai
o
Alla primavera
o
Il passero solitario
o
L'infinito
o
Alla luna
o
A Silvia
o
Canto notturno
o
Il sabato del villaggio
o
Storia del genere umano
o
Dialogo tra Ercole e Atlante
o
Dialogo di moda e morte
o
Dialogo di folletto e gnomo
o
Dialogo di natura e anima
o
Il Copernico
o
Discorso sui costumi degli italiani
o
Zibaldone
o
Pensieri
o
Operette morali
·
Spunti di Riflessione:
di L.D.F.
1. Il conte Monaldo, padre di
Giacomo, possedeva un'imponente biblioteca con migliaia di libri che il futuro
poeta frequentò, fin dai 13 anni, scoprendo autori come Dante, Virgilio e Omero
e approfondendo la sua conoscenza di greco, di latino, di francese, di inglese
e persino di alcuni termini di aramaico e dell'antico ebraico. Furono, come
disse Leopardi, sette anni di "studio matto e disperatissimo" che ne
compromisero la salute e l'aspetto esteriore. Stava forse già elaborando, in
sé, il concetto della natura "madre matrigna", portatrice solo di
sogni inutili di male e di dolore?
2. La madre del poeta,
Adelaide dei marchesi Antici, al contrario del padre, non sopportava questo
figlio che, fisicamente, si curvava, sempre di più, sul suo piccolo scrittoio a
leggere e a scrivere, scrivere, scrivere. Quanto contò, nell'elaborazione dei
concetti di Giacomo legati a una natura matrigna, la figura di questa madre,
dura e spietata ma anch'ella dolorosa?
3. Siete d'accordo
nell'affermare che i disturbi fisici di Leopardi che, a poco a poco, distorsero
il suo corpo siano in effetti dovuti a una forma di ipersensibilità che lo
teneva lontano da tutto ciò che avrebbe potuto farlo soffrire senza che egli si
rendesse conto che questa sua ritrosia, allontanandolo da tutti, lo rendeva
sempre più solo e disperato?
4. Tra il 1815 e il 1816, si
attuò quella che venne definita la "conversione letteraria" di Leopardi,
il passaggio cioè dalla semplice erudizione alla poesia, dal sapere per il
sapere, al concetto esclusivo edonistico del "bello". Quanto questo
suo modo diverso di pensare lontano dai principi etico-religiosi dei Leopardi
contribuì all'allontanamento dalla sua famiglia, dal padre di cui egli
abbandonò la concezione politica reazionaria e, tragedia immane per la madre,
ne provocò il distacco dalla religione cattolica?
5. Nel 1816 egli compose
"Le rimembranze", pur continuando a tradurre dal greco il primo libro
dell'Odissea e dal latino il secondo libro dell'Eneide. Forse non sentiva
ancora pienamente di appartenere a un mondo oppure all'altro? Fu per questo
motivo che intervenne, senza chiarire e chiarirsi bene le sue idee, nella
polemica milanese tra classici e romantici?
6. Nel 1817 Giacomo strinse
amicizia con Pietro Giordani che, pur apprezzandolo, non ebbe mai piena
convinzione di avere davanti a sé, uno dei più grandi poeti del secolo.
Nell'anno a seguire Leopardi pubblicò il "Discorso di un italiano intorno
alla poesia romantica" e le due canzoni "All'Italia" e
"Sopra il monumento di Dante". Ma queste due composizioni non
stridevano, per gli argomenti trattati, con la difesa del romanticismo?
7. C'è una scena del film in
cui Giacomo e Pietro Giordani, affacciati sull'Arno dal Ponte Vecchio, citano
una poesia, forse una delle più belle del Leopardi "Canto notturno di un
pastore errante nell'Asia". In quei versi c'è tutta la nostalgia
leopardiana per un mondo diverso da quello che lo rifiuta e per una natura diversa
da quella che lo sta distruggendo. Leggete la poesia e commentate.
8. Leopardi, ormai lontano
dalla famiglia, non ha forme di sostentamento ed è sempre più malato. Partecipa
allora a un concorso (il cui premio gli permetterebbe di sopravvivere almeno per
un anno) al gabinetto Vieussieux i cui membri, da Alessandro Manzoni a Niccolò
Tommaseo, appartengono all'élite della cultura italiana ma gli venne preferito
Carlo Botta. Perché? I grandi scrittori del tempo non lo accettavano in quanto,
per lui, tutto quanto li circondava era solo legato alle molte sofferenze che
molti di loro consideravano elemento base dei suoi scritti o non lo amavano per
il suo modo di agire, lontano e scostante da tutto e da tutti?
9. Nel 1819, sofferente anche
di una grave malattia agli occhi, avviene il primo passaggio dal
"bello" della poesia al "vero" della filosofia, al
pessimismo di stampo nietzschiano, basato sul fatto che l'uomo è infelice
perché cerca il piacere permanente; un infinito che è irraggiungibile ed è per
questo motivo che l'essere umano sempre andrà alla ricerca di altri piaceri da
soddisfare. Ma la natura è così crudele in quanto dà solo l'illusione per cui
l'uomo ha una parvenza di felicità ma poi la ragione sovrasta le illusioni e
rimane solitudine e dolore.
10. Più ci si allontana dalle
illusioni, più ci si avvicina alla verità, più si è infelici. E' questo
concetto la base del pessimismo leopardiano che vede nella natura non una madre
ma una matrigna che "non rende mai quel che promette allor" (da
"A Silvia"). Quanto la situazione fisica di Giacomo, sempre più grave
e la consapevolezza di non essere compreso, porta Leopardi vicino al concetto
di atarassia legato agli antichi epicurei? Ma mentre questi si allontanavano
dalle cose del mondo, in nome di una felicità da raggiungere con l'isolamento,
Giacomo, in essa, cerca la solitudine per fuggire dal dolore che lo distrugge
fisicamente e psicologicamente. Siete d'accordo? Esprimete la vostra opinione
in merito.
11. Cos'era l'more per Giacomo
Leopardi? Non si può dire che egli non lo cercasse ma l'illusione di aver
trovato inutilmente ciò che egli cercava contribuì alla sua distruzione
fisiopsichica. Dall'amore giovanile per sua cugina Gertrude Cassi, al dolore di
una perdita, per una speranza di vita, come quella di Teresa Fattorini, giovane
figlia del fattore cui egli dedicò "A Silvia", alla nobildonna
fiorentina Fanny Targioni Tozzetti che si prese sempre gioco di lui e per cui
egli, scrisse perdutamente e inutilmente innamorato, le cinque poesie
conosciute come "Ciclo di Aspasia". Abbandonò mai Giacomo la speranza
di un amore?
12. Nel 1830, dopo aver
peregrinato in varie città d'Italia, Leopardi si fermò a Napoli con un giovane
letterato Antonio Ranieri divenuto suo amico e suo compagno fino alla morte.
Ranieri era alto, bello e affascinante. Quanto giocò questa sua presenza in una
sorta di sogno in cui Leopardi si riconosceva sempre più in lui nel momento in
cui la morte si avvicinava?
13. Come Leopardi si
affascinava di fronte alla bellezza di Ranieri perché non pensare che anche Ranieri
fosse colpito dalla statura letteraria e umana del poeta?
14. Molto si è parlato del
rapporto tra Leopardi e Ranieri, talvolta con interpretazioni forse lontane
dalla realtà. Certo è che, alla morte del poeta, tutto ciò che di scritto egli
aveva lasciato rimase a Ranieri. Dallo "Zibaldone", all'epistolario
alle ultime poesie, alle ultime "Operette Morali". Nulla tornò a
Recanati e, ancora oggi, è tutto a Napoli. Era questo, secondo voi, ciò che
Leopardi avrebbe voluto se se lo fosse chiesto?
15. Di Antonio Ranieri pochi
hanno parlato bene anche per il suo libro "Sette anni di sodalizio con
Giacomo Leopardi" oppure non bisogna dimenticare che egli non più giovane,
ebbe un lungo epistolario con Cristina di Belgioioso, una delle donne patriote
più preparate e intelligenti del nostro Risorgimento. Questo vorrà pur dire
qualcosa nella valutazione postuma dell'amico di Giacomo Leopardi che stette
con lui, fino alla morte?
16. Giacomo Leopardi, attento e
sensibilissimo di fronte alla molteplicità della natura, nel suo continuo
ripetersi di nascita e morte in cui la bellezza, spesso, si trasforma in dolore
e paura, ha lasciato, in ogni sua poesia, un minimo di speranza, legato anche
al ricordo che, subito dopo, ritornerà a distruggerlo. Questo minimo di
speranza varia da poesia a poesia ma, se sappiamo coglierlo, forse, riusciamo a
trovarlo. Citandone alcune
- In "Il sabato del villaggio"
l'aspirazione a una serenità che egli mai ebbe
- In "L'Infinito" la speranza di una
bellezza che giunge fino ai confini dell'orizzonte
- In "A Silvia" il sogno, seguito subito
dopo il dolore
- In "Canto notturno di un pastore errante
nell'Asia" la consapevolezza delle illusioni cui l'uomo deve la sua
infelice sopravvivenza
- In "La ginestra" l'aria di una fine tanto
più dolorosa quanto più desiderata.
Leggete queste poesie e commentatele.
Nessun commento:
Posta un commento