L'evento capitale della cultura romantica, anzi della coscienza moderna, fu la centralità e la sovranità che il soggetto assunse nel campo dell' esperienza fino al punto di diventare la fonte di ogni realtà e di ogni valore. Senza più norma o limite, né fuori né dentro di sé, l' io si sostituì a Dio, di cui acquisì o imitò i poteri, a incominciare da quello della creazione.
Tale prometeismo del soggetto è anche la novità che, innestandosi nella tradizione settecentesca da un lato del romanzo gotico, dall' altro dello sperimentalismo scientifico, caratterizza Frankenstein, il romanzo ideato da una geniale diciannovenne, Mary Godwin Shelley, figlia del filosofo radicale William Godwin e della scrittrice femminista Mary Wollstonecraft.
Frankenstein, capostipite del genere fantascientifico, nacque nel 1816 da una gara narrativa intrapresa in Svizzera con Byron e con Shelley per ingannare la noia di un' estate inclemente e apparve nel 1818 con una prefazione di Shelley stesso (nel frattempo divenuto marito di Mary): ebbe grande successo, che fu non solo letterario, ma anche teatrale, prima di diventare cinematografico.
Articolato su tre diversi piani narrativi, il primo dei quali è concepito in forma epistolare, il romanzo racconta come un giovane ginevrino, Victor Frankenstein, amante della filosofia naturale e desideroso di gloria, dopo varie ricerche nel campo della chimica, dell' anatomia, dell' elettricità e del galvanismo condotte presso l' università di Ingolstadt, giunga a scoprire la causa della generazione e della vita. Attraverso operazioni lasciate inevitabilmente all' immaginazione del lettore, Frankenstein crea nel suo laboratorio segreto un uomo artificiale, un «mostro» dai sentimenti miti ma dall' aspetto ripugnante, la cui vista è intollerabile al suo stesso creatore, subito pentito del proprio infausto operato.
Il mostro, plausibilmente innominato nel romanzo, ripercorre con lena tutte le tappe dello sviluppo dell' umanità, a incominciare dall' apprendimento del linguaggio e dalla scoperta del fuoco, per adattarsi all' ambiente sconosciuto nel quale si è trovato a esistere. Ma resta un figlio del nulla, solitario e infelice: bisognoso fino allo spasimo della compagnia degli esseri umani, viene invece, invariabilmente, fuggito e respinto da tutti con orrore. Egli muta allora la sua benignità in un odio furioso contro l' umanità, in particolare contro Frankenstein: dapprima ne uccide il fratello e poi manda sul patibolo la buona domestica ingiustamente incolpata del delitto. Impone inoltre a Frankenstein di costruirgli una compagna con la quale poter almeno dividere l' esistenza, secondo un' invenzione che è con ogni evidenza una parodia del racconto biblico della creazione di Eva. Frankenstein dapprima rifiuta terrorizzato; in un secondo momento, impietosito dalle argomentazioni del mostro, accetta e incomincia la costruzione di una femmina; ma alla fine, sopraffatto dal disgusto, interrompe e abbandona l' opera. Si scatena allora la vendetta già minacciata dal mostro che, strangolato il migliore amico di Frankenstein, uccide la fanciulla amata dallo scienziato proprio nel giorno in cui i due si sono uniti in matrimonio.
Compiuto l' ultimo crimine, il mostro fugge, inseguito da Frankenstein fino ai ghiacci del Polo Nord: qui lo scienziato, naufrago e assiderato, viene tratto in salvo sulla nave di un esploratore inglese al quale, prima di morire, racconta la propria storia. Allo sventurato mostro, dopo che ha visitato la salma del suo creatore, non resta altro che distruggersi.
Nonostante qualche ingenuità e qualche forzatura, il romanzo di Mary Shelley non solo attira, ma sorprende lo stesso lettore di oggi. All' originalità dell' invenzione, al tentativo di mostrare il mondo attraverso occhi extra-umani, alle efficaci descrizioni naturalistiche e paesaggistiche improntate al sublime romantico e corrispondenti all' esperienza autobiografica dell' autrice, alla limpidità e all' immediatezza dello stile si deve infatti aggiungere una capacità di anticipare i tempi che non sarebbe esagerato definire profetica. È difficile non pensare all' ingegneria genetica, ai misfatti che essa compie o promette generando esseri senza identità e senza storia, quando il mostro di Frankenstein riflette: «Ma dov' erano i miei amici e i miei parenti? Nessun padre aveva vegliato sui miei primi anni, nessuna madre mi aveva benedetto con i suoi sorrisi e le sue carezze; o, se l' avevano fatto, tutta la mia vita passata era un punto oscuro, un vuoto in cui non distinguevo nulla».
Il libro, il cui titolo completo suona Frankenstein, or the Modern Prometheus, è una rappresentazione partecipe, ma anche una condanna esplicita, della ubris scientifica. Lo è sul piano narrativo, nella nera e luttuosa sequenza degli effetti della scoperta di Frankenstein. Lo è nelle riflessioni o dichiarazioni che contiene: «Imparate da me, se non dalle mie raccomandazioni, almeno dal mio esempio, quanto pericoloso sia l' acquisto della scienza» dice Frankenstein, riprendendo u na saggezza millenaria, pagana non meno che biblica. E ancora, poco prima di morire, dunque in una sorta di testamento ideale: «Cercate la felicità nella quiete ed evitate l' ambizione, anche se si tratta solo di quella apparentemente innocente di distinguervi nella scienza e nelle scoperte». D' altronde, il mostro stesso desidera alla fine ridursi in cenere perché i suoi resti non siano di aiuto a «qualche altro disgraziato curioso e sacrilego» che voglia creare un essere simile a lui. Che l' utopia della scienza finisca in tragedia è un' ammissione alla quale erano costretti anche i più orgogliosi esponenti della ribellione romantica.
Tale prometeismo del soggetto è anche la novità che, innestandosi nella tradizione settecentesca da un lato del romanzo gotico, dall' altro dello sperimentalismo scientifico, caratterizza Frankenstein, il romanzo ideato da una geniale diciannovenne, Mary Godwin Shelley, figlia del filosofo radicale William Godwin e della scrittrice femminista Mary Wollstonecraft.
Frankenstein, capostipite del genere fantascientifico, nacque nel 1816 da una gara narrativa intrapresa in Svizzera con Byron e con Shelley per ingannare la noia di un' estate inclemente e apparve nel 1818 con una prefazione di Shelley stesso (nel frattempo divenuto marito di Mary): ebbe grande successo, che fu non solo letterario, ma anche teatrale, prima di diventare cinematografico.
Articolato su tre diversi piani narrativi, il primo dei quali è concepito in forma epistolare, il romanzo racconta come un giovane ginevrino, Victor Frankenstein, amante della filosofia naturale e desideroso di gloria, dopo varie ricerche nel campo della chimica, dell' anatomia, dell' elettricità e del galvanismo condotte presso l' università di Ingolstadt, giunga a scoprire la causa della generazione e della vita. Attraverso operazioni lasciate inevitabilmente all' immaginazione del lettore, Frankenstein crea nel suo laboratorio segreto un uomo artificiale, un «mostro» dai sentimenti miti ma dall' aspetto ripugnante, la cui vista è intollerabile al suo stesso creatore, subito pentito del proprio infausto operato.
Il mostro, plausibilmente innominato nel romanzo, ripercorre con lena tutte le tappe dello sviluppo dell' umanità, a incominciare dall' apprendimento del linguaggio e dalla scoperta del fuoco, per adattarsi all' ambiente sconosciuto nel quale si è trovato a esistere. Ma resta un figlio del nulla, solitario e infelice: bisognoso fino allo spasimo della compagnia degli esseri umani, viene invece, invariabilmente, fuggito e respinto da tutti con orrore. Egli muta allora la sua benignità in un odio furioso contro l' umanità, in particolare contro Frankenstein: dapprima ne uccide il fratello e poi manda sul patibolo la buona domestica ingiustamente incolpata del delitto. Impone inoltre a Frankenstein di costruirgli una compagna con la quale poter almeno dividere l' esistenza, secondo un' invenzione che è con ogni evidenza una parodia del racconto biblico della creazione di Eva. Frankenstein dapprima rifiuta terrorizzato; in un secondo momento, impietosito dalle argomentazioni del mostro, accetta e incomincia la costruzione di una femmina; ma alla fine, sopraffatto dal disgusto, interrompe e abbandona l' opera. Si scatena allora la vendetta già minacciata dal mostro che, strangolato il migliore amico di Frankenstein, uccide la fanciulla amata dallo scienziato proprio nel giorno in cui i due si sono uniti in matrimonio.
Compiuto l' ultimo crimine, il mostro fugge, inseguito da Frankenstein fino ai ghiacci del Polo Nord: qui lo scienziato, naufrago e assiderato, viene tratto in salvo sulla nave di un esploratore inglese al quale, prima di morire, racconta la propria storia. Allo sventurato mostro, dopo che ha visitato la salma del suo creatore, non resta altro che distruggersi.
Nonostante qualche ingenuità e qualche forzatura, il romanzo di Mary Shelley non solo attira, ma sorprende lo stesso lettore di oggi. All' originalità dell' invenzione, al tentativo di mostrare il mondo attraverso occhi extra-umani, alle efficaci descrizioni naturalistiche e paesaggistiche improntate al sublime romantico e corrispondenti all' esperienza autobiografica dell' autrice, alla limpidità e all' immediatezza dello stile si deve infatti aggiungere una capacità di anticipare i tempi che non sarebbe esagerato definire profetica. È difficile non pensare all' ingegneria genetica, ai misfatti che essa compie o promette generando esseri senza identità e senza storia, quando il mostro di Frankenstein riflette: «Ma dov' erano i miei amici e i miei parenti? Nessun padre aveva vegliato sui miei primi anni, nessuna madre mi aveva benedetto con i suoi sorrisi e le sue carezze; o, se l' avevano fatto, tutta la mia vita passata era un punto oscuro, un vuoto in cui non distinguevo nulla».
Il libro, il cui titolo completo suona Frankenstein, or the Modern Prometheus, è una rappresentazione partecipe, ma anche una condanna esplicita, della ubris scientifica. Lo è sul piano narrativo, nella nera e luttuosa sequenza degli effetti della scoperta di Frankenstein. Lo è nelle riflessioni o dichiarazioni che contiene: «Imparate da me, se non dalle mie raccomandazioni, almeno dal mio esempio, quanto pericoloso sia l' acquisto della scienza» dice Frankenstein, riprendendo u na saggezza millenaria, pagana non meno che biblica. E ancora, poco prima di morire, dunque in una sorta di testamento ideale: «Cercate la felicità nella quiete ed evitate l' ambizione, anche se si tratta solo di quella apparentemente innocente di distinguervi nella scienza e nelle scoperte». D' altronde, il mostro stesso desidera alla fine ridursi in cenere perché i suoi resti non siano di aiuto a «qualche altro disgraziato curioso e sacrilego» che voglia creare un essere simile a lui. Che l' utopia della scienza finisca in tragedia è un' ammissione alla quale erano costretti anche i più orgogliosi esponenti della ribellione romantica.
[dal Corriere della Sera, 28/10/2002]
• LA STRANA STORIA DELLA SCRITTRICE NOIR E DEL POETA RIBELLE
S' incontrano nel salotto culturale del padre di Mary e scocca la scintilla fatale. Solo due anni dopo riusciranno a sposarsi .Uno degli amori più celebri, più appassionati e più dissennati del Romanticismo. Durante le loro peregrinazioni si concentrano eventi che una vita intera conterrebbe a stento
di ELISABETTA RASY
Di tutti i problemi che assillavano la sua incipiente vecchiaia - una moglie arcigna, due figliastre lunatiche, gli acciacchi e i soldi, la latitanza maligna e tenace dei soldi - tra tutti questi detestabili guai che attentavano alla sua tempra di filosofo spregiudicato quanto austero nelle passioni, sua figlia Mary non aveva un posto trascurabile.
William Godwin era preoccupato: non appena adolescente la ragazzina aveva cominciato a mostrarsi straordinariamente audace, imperiosa e troppo attiva di mente. E, peggio, dotata di una determinazione invincibile in tutto ciò che intraprendeva. Godwin allo studio della natura umana, della fisiologia sociale, delle contraddizioni della legge aveva dedicato tutto il suo talento. Persino un matrimonio, quello, appunto, con la madre della piccola Mary, una donna d' eccezione, pensatrice come lui, come lui convinta che le convenzioni andassero guardate con una impietosa lente d' ingrandimento. Ma la madre, l' altra Mary, la famosa Wollstonecraft autrice della «Rivendicazione dei diritti delle donne», era morta dandola alla luce tredici anni prima, sul finire del secolo tumultuoso, quel diciottesimo secolo delle rivoluzioni e dei lumi.
E lui quest' orfana ribelle non sapeva come tenerla a bada: per questo la spedì via, lontana dalla matrigna che detestava, dalla petulante sorellastra Jane figlia della seconda signora Goodwin e da Fanny, l' illegittima della prima moglie, malinconica e indolente. Lontana anche da quei poeti, Coleridge per esempio, che frequentavano casa sua e le infiammavano la testa. Ma quando, dopo il soggiorno lontano che avrebbe dovuto smussarne il carattere, la sedicenne Mary tornò a Londra, Godwin si accorse ben presto che sua figlia non era affatto cambiata, anzi.
Mentre la figlia ostinata veniva allontanata, un giovanotto appena ventenne, fervente ammiratore di «Inchiesta sulla giustizia politica», l' opera più importante di William Godwin, gli si era dichiarato discepolo in una lettera e aveva ottenuto il permesso di frequentarlo. L' anno prima, il 1811, per aver aver scritto un libello intitolato «Necessità dell' ateismo», il ragazzo era stato cacciato dallo University College di Oxford. Suo padre, Sir Timothy Shelley, si era infuriato - del resto detestava non solo i libelli ma anche i romanzi e i poemi che il primogenito Percy Bysshe si ostinava a scrivere da quando aveva dieci anni. E tanto più furioso era diventato quando quel figlio che seguiva i principi libertari di Godwin e Tom Paine, dopo averla messa incinta, aveva sposato una sedicenne, Harriet Westbrook.
Due padri in ambasce, due figli ribelli e ostinati: questa la premessa di uno degli amori più celebri, più appassionati e più dissennati del Romanticismo europeo. Perché quando, nel 1814, Mary tornata a casa incontrò Percy nel salotto del padre tra i due scoppiò una scintilla fatale. Il poeta se ne rese conto immediatamente, come scrisse qualche tempo dopo a un amico: «In giugno venni a Londra con Godwin... Lì incontrai sua figlia Mary. L' originalità e la grazia della personalità di Mary apparivano dalle sue stesse movenze e dal tono della sua voce. L' irresistibile impetuosità e la sublimità dei suoi sentimenti si manifestavano nei suoi gesti e nel suo aspetto. Com' era persuasivo e com' era patetico il suo sorriso!... In breve tempo concepii un' ardente passione di possedere questo tesoro inestimabile. Nella mia mente questo sentimento assunse una varietà di forme, celai a me stesso la vera natura della mia affezione. Mi sforzai di celarla anche a Mary, ma senza successo».
Che Shelley, uomo di grandi entusiasmi e completamente privo di esitazioni, si sforzasse di tener celata la sua passione alla ragazza è piuttosto dubbio, se prima della fine di quel mese di giugno i due diventarono amanti. Probabilmente, invece, si sforzarono entrambi di tener celato tanto sconveniente amore agli occhi della moglie di lui e del nutrito gruppo familiare di lei. Ma anche qui l' insuccesso fu totale. Tutti se ne accorsero. Godwin si rivolse con parole di fuoco al discepolo: «Non avrei mai creduto che avresti sacrificato la tua personalità e utilità, la felicità di una moglie meritevole e innocente e la reputazione immacolata della mia giovane figlia all' impulso violento della passione».
Shelley non se ne dette per inteso, ma Mary alla quale Harriet, già madre di una bambina e incinta del secondo figlio, si era rivolta direttamente con la disperazione di una donna tradita, era pronta a rinunciare. Fu allora che il poeta capì che per realizzare il loro amore non restava che una strada: la fuga.
Fu difficile convincere la piccola Godwin, non ancora diciassettenne, a un gesto così estremo? Forse Mary riluttava. Ma quando Shelley si presentò da lei con una dose di laudano e una pistola dichiarandosi pronto al suicidio se lei non avesse acconsentito, fu abbastanza veloce nel mettere da parte le sue esitazioni, l' amore filiale, la reputazione, gli scrupoli morali. Fu stabilita una data, il 28 di luglio; fu trovata una complice, la sorellastra Jane.
Quello stesso 28 di luglio i due amanti decisero di tenere un diario comune. Shelley scrisse la prima pagina: «La notte precedente questa mattina, essendo già stato tutto deciso, ho ordinato che una carrozza fosse pronta per le quattro. Vegliai fino a quando l' illuminazione e le stelle impallidirono. Finalmente arrivarono le quattro... Andai, la vidi, lei venne a me... Alcuni preparativi dovevano essere ultimati e lei mi lasciò per un breve lasso di tempo. Come mi sembrò spaventoso quel tempo; sembrava che ci gingillassimo con la vita e con la speranza; passarono alcuni minuti e lei fu nelle mie braccia. Eravamo salvi, eravamo sulla strada per Dover».
La fuga si concluse solo due anni dopo, il 30 dicembre 1816, quando Mary e Shelley si sposarono. In questo lasso di tempo, speso in peregrinazioni forsennate tra l' Inghilterra e il continente, si concentrano eventi che un' intera vita conterrebbe a stento: Mary ha due figli di cui la prima muore; Harriett partorisce il figlio di Percy; la sorellastra Jane diventa l' amante di Byron; Mary scrive il libro che le darà eterna fama, «Frankenstein»; Fanny, l' altra sorellastra si suicida; poco dopo anche Harriett si suicida; Shelley inseguito dai debitori e dalla furia del padre perde ignominiosamente la custodia dei figli del primo matrimonio.
Solo il filosofo Godwin sembra non perdere la flemma del pensatore incallito. Quando finalmente Mary diventa la signora Shelley, scrive al fratello: «Non so se ti ricordi la miscellaneità della mia famiglia, ma almeno forse ricorderai che ho soltanto due figli miei: una figlia dalla mia prima moglie e un figlio dalla mia moglie attuale... La notizia che ti debbo riferire è che ho accompagnato la ragazza all' altare un po' di tempo fa. Suo marito è il figlio maggiore di Sir Timothy Shelley di Field Park, nella contea del Sussex, Baronetto. Così, secondo le volgari idee del mondo, si è sposata bene e nutro grande speranza che il giovane sia per lei un buon marito. Ti chiederai, penso, come possa una fanciulla di pochi mezzi fare un così buon matrimonio, ma questa è la vita».
S' incontrano nel salotto culturale del padre di Mary e scocca la scintilla fatale. Solo due anni dopo riusciranno a sposarsi .Uno degli amori più celebri, più appassionati e più dissennati del Romanticismo. Durante le loro peregrinazioni si concentrano eventi che una vita intera conterrebbe a stento
di ELISABETTA RASY
Di tutti i problemi che assillavano la sua incipiente vecchiaia - una moglie arcigna, due figliastre lunatiche, gli acciacchi e i soldi, la latitanza maligna e tenace dei soldi - tra tutti questi detestabili guai che attentavano alla sua tempra di filosofo spregiudicato quanto austero nelle passioni, sua figlia Mary non aveva un posto trascurabile.
William Godwin era preoccupato: non appena adolescente la ragazzina aveva cominciato a mostrarsi straordinariamente audace, imperiosa e troppo attiva di mente. E, peggio, dotata di una determinazione invincibile in tutto ciò che intraprendeva. Godwin allo studio della natura umana, della fisiologia sociale, delle contraddizioni della legge aveva dedicato tutto il suo talento. Persino un matrimonio, quello, appunto, con la madre della piccola Mary, una donna d' eccezione, pensatrice come lui, come lui convinta che le convenzioni andassero guardate con una impietosa lente d' ingrandimento. Ma la madre, l' altra Mary, la famosa Wollstonecraft autrice della «Rivendicazione dei diritti delle donne», era morta dandola alla luce tredici anni prima, sul finire del secolo tumultuoso, quel diciottesimo secolo delle rivoluzioni e dei lumi.
E lui quest' orfana ribelle non sapeva come tenerla a bada: per questo la spedì via, lontana dalla matrigna che detestava, dalla petulante sorellastra Jane figlia della seconda signora Goodwin e da Fanny, l' illegittima della prima moglie, malinconica e indolente. Lontana anche da quei poeti, Coleridge per esempio, che frequentavano casa sua e le infiammavano la testa. Ma quando, dopo il soggiorno lontano che avrebbe dovuto smussarne il carattere, la sedicenne Mary tornò a Londra, Godwin si accorse ben presto che sua figlia non era affatto cambiata, anzi.
Mentre la figlia ostinata veniva allontanata, un giovanotto appena ventenne, fervente ammiratore di «Inchiesta sulla giustizia politica», l' opera più importante di William Godwin, gli si era dichiarato discepolo in una lettera e aveva ottenuto il permesso di frequentarlo. L' anno prima, il 1811, per aver aver scritto un libello intitolato «Necessità dell' ateismo», il ragazzo era stato cacciato dallo University College di Oxford. Suo padre, Sir Timothy Shelley, si era infuriato - del resto detestava non solo i libelli ma anche i romanzi e i poemi che il primogenito Percy Bysshe si ostinava a scrivere da quando aveva dieci anni. E tanto più furioso era diventato quando quel figlio che seguiva i principi libertari di Godwin e Tom Paine, dopo averla messa incinta, aveva sposato una sedicenne, Harriet Westbrook.
Due padri in ambasce, due figli ribelli e ostinati: questa la premessa di uno degli amori più celebri, più appassionati e più dissennati del Romanticismo europeo. Perché quando, nel 1814, Mary tornata a casa incontrò Percy nel salotto del padre tra i due scoppiò una scintilla fatale. Il poeta se ne rese conto immediatamente, come scrisse qualche tempo dopo a un amico: «In giugno venni a Londra con Godwin... Lì incontrai sua figlia Mary. L' originalità e la grazia della personalità di Mary apparivano dalle sue stesse movenze e dal tono della sua voce. L' irresistibile impetuosità e la sublimità dei suoi sentimenti si manifestavano nei suoi gesti e nel suo aspetto. Com' era persuasivo e com' era patetico il suo sorriso!... In breve tempo concepii un' ardente passione di possedere questo tesoro inestimabile. Nella mia mente questo sentimento assunse una varietà di forme, celai a me stesso la vera natura della mia affezione. Mi sforzai di celarla anche a Mary, ma senza successo».
Che Shelley, uomo di grandi entusiasmi e completamente privo di esitazioni, si sforzasse di tener celata la sua passione alla ragazza è piuttosto dubbio, se prima della fine di quel mese di giugno i due diventarono amanti. Probabilmente, invece, si sforzarono entrambi di tener celato tanto sconveniente amore agli occhi della moglie di lui e del nutrito gruppo familiare di lei. Ma anche qui l' insuccesso fu totale. Tutti se ne accorsero. Godwin si rivolse con parole di fuoco al discepolo: «Non avrei mai creduto che avresti sacrificato la tua personalità e utilità, la felicità di una moglie meritevole e innocente e la reputazione immacolata della mia giovane figlia all' impulso violento della passione».
Shelley non se ne dette per inteso, ma Mary alla quale Harriet, già madre di una bambina e incinta del secondo figlio, si era rivolta direttamente con la disperazione di una donna tradita, era pronta a rinunciare. Fu allora che il poeta capì che per realizzare il loro amore non restava che una strada: la fuga.
Fu difficile convincere la piccola Godwin, non ancora diciassettenne, a un gesto così estremo? Forse Mary riluttava. Ma quando Shelley si presentò da lei con una dose di laudano e una pistola dichiarandosi pronto al suicidio se lei non avesse acconsentito, fu abbastanza veloce nel mettere da parte le sue esitazioni, l' amore filiale, la reputazione, gli scrupoli morali. Fu stabilita una data, il 28 di luglio; fu trovata una complice, la sorellastra Jane.
Quello stesso 28 di luglio i due amanti decisero di tenere un diario comune. Shelley scrisse la prima pagina: «La notte precedente questa mattina, essendo già stato tutto deciso, ho ordinato che una carrozza fosse pronta per le quattro. Vegliai fino a quando l' illuminazione e le stelle impallidirono. Finalmente arrivarono le quattro... Andai, la vidi, lei venne a me... Alcuni preparativi dovevano essere ultimati e lei mi lasciò per un breve lasso di tempo. Come mi sembrò spaventoso quel tempo; sembrava che ci gingillassimo con la vita e con la speranza; passarono alcuni minuti e lei fu nelle mie braccia. Eravamo salvi, eravamo sulla strada per Dover».
La fuga si concluse solo due anni dopo, il 30 dicembre 1816, quando Mary e Shelley si sposarono. In questo lasso di tempo, speso in peregrinazioni forsennate tra l' Inghilterra e il continente, si concentrano eventi che un' intera vita conterrebbe a stento: Mary ha due figli di cui la prima muore; Harriett partorisce il figlio di Percy; la sorellastra Jane diventa l' amante di Byron; Mary scrive il libro che le darà eterna fama, «Frankenstein»; Fanny, l' altra sorellastra si suicida; poco dopo anche Harriett si suicida; Shelley inseguito dai debitori e dalla furia del padre perde ignominiosamente la custodia dei figli del primo matrimonio.
Solo il filosofo Godwin sembra non perdere la flemma del pensatore incallito. Quando finalmente Mary diventa la signora Shelley, scrive al fratello: «Non so se ti ricordi la miscellaneità della mia famiglia, ma almeno forse ricorderai che ho soltanto due figli miei: una figlia dalla mia prima moglie e un figlio dalla mia moglie attuale... La notizia che ti debbo riferire è che ho accompagnato la ragazza all' altare un po' di tempo fa. Suo marito è il figlio maggiore di Sir Timothy Shelley di Field Park, nella contea del Sussex, Baronetto. Così, secondo le volgari idee del mondo, si è sposata bene e nutro grande speranza che il giovane sia per lei un buon marito. Ti chiederai, penso, come possa una fanciulla di pochi mezzi fare un così buon matrimonio, ma questa è la vita».
[dal Corriere della Sera, 22/07/2004]
• IL DOTTOR FRANKENSTEIN E' VERAMENTE ESISTITO. LA SHELLEY SI ISPIRO' A UN ALCHIMISTA TEDESCO
Londra sarebbe stato un alchimista tedesco a "suggerire" a Mary Shelley la creazione di Frankenstein, uno dei personaggi piu' famosi della letteratura "neogotica". Lo "scienziato pazzo" che avrebbe fatto da modello alla scrittrice inglese sarebbe Konrad Dippel, vissuto tra il 1673 e il 1734. Lo sostiene Radu Florescu, docente di storia est europea al Boston College. In un saggio che sara' pubblicato ai primi di ottobre con il titolo In search of Frankenstein, Florescu si dice convinto che Mary Shelley venne a conoscenza delle storie e leggende attorno a Dippel durante un viaggio del 1814 in Germania, assieme al futuro marito, il poeta Percy Bysshe Shelley. Dalle note della scrittrice ad un successivo libro di viaggi (History of a six week' s tour), il professore americano ha scoperto che gli Shelley visitarono anche un castello vicino a Mannheim, noto come "Castello Frankenstein", dove Dippel era nato. "Al castello . ha indicato il professor Florescu . i visitatori venivano informati sulle storie riguardanti il misterioso Dippel". La scrittrice, morta nel 1851, disse che in lei il personaggio di Frankenstein aveva preso improvvisamente corpo nel 1816 in seguito a un incubo serale, mentre con Shelley e un altro famoso poeta . Lord Byron . soggiornava sul lago di Ginevra, ma a detta dell' esperto di storia europea si tratta di una finzione romantica: i "temi e pensieri" sullo scienziato che da' vita a un mostruoso umanoide artificiale sarebbero gia' stati inculcati in lei dal viaggio di due anni prima in Germania. Anche se adesso e' conosciuto soltanto dagli esperti, Konrad Dippel ebbe in vita una certa notorieta' per le sue oscure, talvolta macabre ricerche su come carpire il segreto dell' eternita' e produrre oro partendo da materiali vili. Persino Caterina II, zarina di tutte le Russie, lo invito' a corte per sapere di piu' dei suoi esperimenti che in apparenza comportavano anche il furto e la cottura di cadaveri.
Londra sarebbe stato un alchimista tedesco a "suggerire" a Mary Shelley la creazione di Frankenstein, uno dei personaggi piu' famosi della letteratura "neogotica". Lo "scienziato pazzo" che avrebbe fatto da modello alla scrittrice inglese sarebbe Konrad Dippel, vissuto tra il 1673 e il 1734. Lo sostiene Radu Florescu, docente di storia est europea al Boston College. In un saggio che sara' pubblicato ai primi di ottobre con il titolo In search of Frankenstein, Florescu si dice convinto che Mary Shelley venne a conoscenza delle storie e leggende attorno a Dippel durante un viaggio del 1814 in Germania, assieme al futuro marito, il poeta Percy Bysshe Shelley. Dalle note della scrittrice ad un successivo libro di viaggi (History of a six week' s tour), il professore americano ha scoperto che gli Shelley visitarono anche un castello vicino a Mannheim, noto come "Castello Frankenstein", dove Dippel era nato. "Al castello . ha indicato il professor Florescu . i visitatori venivano informati sulle storie riguardanti il misterioso Dippel". La scrittrice, morta nel 1851, disse che in lei il personaggio di Frankenstein aveva preso improvvisamente corpo nel 1816 in seguito a un incubo serale, mentre con Shelley e un altro famoso poeta . Lord Byron . soggiornava sul lago di Ginevra, ma a detta dell' esperto di storia europea si tratta di una finzione romantica: i "temi e pensieri" sullo scienziato che da' vita a un mostruoso umanoide artificiale sarebbero gia' stati inculcati in lei dal viaggio di due anni prima in Germania. Anche se adesso e' conosciuto soltanto dagli esperti, Konrad Dippel ebbe in vita una certa notorieta' per le sue oscure, talvolta macabre ricerche su come carpire il segreto dell' eternita' e produrre oro partendo da materiali vili. Persino Caterina II, zarina di tutte le Russie, lo invito' a corte per sapere di piu' dei suoi esperimenti che in apparenza comportavano anche il furto e la cottura di cadaveri.
[dal Corriere della Sera, 23/09/1996]
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